“In un mondo che ci obbliga all’eccellenza, fare schifo è un gesto rivoluzionario”.

Questa citazione è in realtà un graffito fotografato che si vede qua e là postato in rete.
L’autore non è ben identificato, me ne scuso, ma trovo che sia un incipit ficcante per parlare di un film “culto” del decennio appena passato.

Premessa I.
Ognuno ha il suo personalissimo gusto dell’orrido o il suo confine superabile. Chi per le Crocs (mi dissocio) chi per produzioni televisive e cinematografiche kitsch (colpevole, Vostro Onore).

Premessa II.
Questo pezzo era in cantiere prima del covid-19. Direi che adesso suggerirvi una mini maratona di due film sia piuttosto fattibile.

Quando la realtà supera la finzione, è il caso di dirlo.

In questo momento storico, infatti, c’è tempo e bisogno di immergersi in universi paralleli popolati da bizzarre creature, più bizzarre del pangolino.
Qui ce la giochiamo.
Vi propongo infatti la visione di un originale e del suo metafilm, che altro non è che la reinterpretazione -ma vista dal dietro le quinte- del primo.

The Room e The Disaster Artist.

Perché non potete approcciarvi a The Disaster Artist se prima non avete pregustato The Room.
Un motivo è ovvio: se non sai di che parla The Room non capisci di cosa tratta The Disaster Artist anche se, probabilmente, se si invertissero le visioni l’effetto curiosità spingerebbe a recuperare subito l’originale.

L’altro motivo. Le due pellicole se viste in successione sono una combinazione in grado di trasportarvi in una dimensione alienante che solo Hyeronimous Bosch potrebbe sfidare. Ecco perché mi troverete a scriverne in parallelo.
Inoltre, The Room visto e riletto insieme a The Disaster Artist ci consegna anche una testimonianza molto interessante di quello che è stato il processo creativo e l’epilogo conclusivo. Si parla di metacinema. Andando nello specifico, ci si destreggia tra:

  • le intenzioni del regista/protagonista, il buon Tommy Wiseau
  • le convinzioni del di cui sopra
  • l’amicizia tra Tommy e Craig (l’amico giovane e bello ma con talento relativo che diventa motore, motivatore, delusione e infine riscatto per il nostro eroe)
  • l’innocenza e la sua età relativa (Tommy non ha età, né mai l’avrà)
  • il fascino del grottesco
  • la standing ovation (la prima del film è il punto di rottura e lo svelamento)
  • il libro di Craig del 2013 sui retroscena del film “The Disaster Artist: My Life Inside The Room”
  • il grande successo nella nicchia degli “amatori” e la consacrazione con l’omaggio The Disaster Artist di James Franco nel 2017.

The room non è un film, è un’esperienza.

Tra sindrome di Stendhal e sindrome di Stoccolma rimaniamo rapiti dalla bellezza grottesca del “male” che ci avviluppa in una vertigine che ci fa amare il nostro carnefice.
Dimenticate Sharknado e limitrofi. Vi solluccherete nel trash come fosse una magia, consci dell’elemento dissonante, sbalorditi a ogni frame. Letteralmente, inevitabilmente ipnotizzati da lui, Tommy Wiseau. Creatura chimera tra il vampiro, Robert Smith e Peter Steele. Le sue espressioni e le sue qualità recitative rapiscono. Nonostante la trama sia piuttosto semplice, la sceneggiatura è ricca di elementi incomprensibili.

E del film, Mister Wiseau, non è solo il protagonista.
È il produttore (unico), lo sceneggiatore, a tratti anche il regista, il distributore e altre mille altre cose.

Come un Ralph Super Maxi Eroe, Tommy Wiseau, col suo accento indecifrabile, forse polacco (di origine), francese di auto attribuzione, ma di New Orleans di dichiarazione, riesce con la sua opera prima a conquistare un posto di diritto nei cuori dei cultori dei film improbabili. Tra questi estimatori troviamo anche James Franco, il quale decide -addirittura- di farne del metacinema. Ispirato dal libro biografico di Craig Sestero del 2013, in accordo con lui e lo stesso Wiseau, è lo stesso James che dirige la pellicola e interpreta Tommy, così come il fratello Dave le vesti di Craig. Il risultato è terribilmente fedele alla realtà, i protagonisti pennellati a puntino. Nessuna caricatura. Franco fa una prova attoriale d’eccellenza. Distinguere il vero Tommy dal Tommy di Franco è difficilissimo e in rete i meme si sprecano.

La trama di The Room.

Un uomo che lavora in banca (Johnny) ha una fidanzata annoiata (Lisa) la quale decide di sedurre il miglior amico di lui (Mark) e intraprendere una relazione alle spalle del fidanzato/futuro marito che raggira per motivi economici. Nel mezzo personaggi collaterali, suocere ammalate, ragazzini random, elementi ricorrenti e tanti perché a cui dar risposta mai. Il tutto si svolge in una sola abitazione, per lo più in salotto.

La forza della convinzione.

Tommy Wiseau decide di portare sullo schermo questo suo grande progetto. Ingaggia come socio il giovane amico Craig, ambizioso aspirante attore che vede in Tommy un mentore e outsider da cui imparare.
Wiseau investe un’enorme fortuna nel suo sogno, determinato come pochi e convinto della bontà della sua idea. I soldi, la cui origine resta un mistero, non sono un problema, mentre lo sarà l’inesperienza. La produzione di questa pellicola risulta spropositata e molte risorse sperperate: tutto questo, però, noi lo apprendiamo con il film di Franco.

I dati “salienti” per comprendere sono questi, uscito nel 2003:

  • budget di produzione: 6 milioni USD
  • incassi al botteghino: 1.800 USD

Eh, già.

Cos’è The Room?

In inglese c’è un’espressione che mi è sempre piaciuta per quando si vuol dire che si fa spazio o c’è spazio per qualcuno o qualcosa: there’s room.
Anche Ezio Bosso parla di stanze riferendosi ai luoghi dei sentimenti e delle faccende della vita. Nel caso del film, non si comprende benissimo cosa sia questa “stanza”, se non probabilmente il set. Uno solo, sempre quello. Salotto, cucina, soggiorno, bagno presunto, tutte cose. Wiseau in un’intervista dice che la stanza è il posto segreto e privato dove tutto può succedere, il bene e il male. Non è dato sapere se sia un significato attribuito a posteriori o l’intento originale. Un altro dei quasi enigmi che contribuisce a rendere il film mitologico. 

The Disaster Artist.
Tutti i retroscena svelati e gli inevitabili momenti di epifania.

Commedia, biografia, metacinema. Qui vediamo anche tutti i risvolti umani e i conseguenti problemi psicologici e traumatici degli attori e della troupe durante e dopo il film.
Sì perché anche durante la visione di The Room, dopo aver abbracciato la “meraviglia” per Wiseau, vi verrà quasi subito la domanda: il cast, la troupe, i co-protagonisti che sono meno “particolari” di Tommy, come hanno fatto?
Beh, non hanno fatto*. E ce lo racconta Franco prendendo le mosse dalla testimonianza di Craig nel libro autobiografico da lui scritto. È proprio dalla lettura del racconto di Sestero che nasce l’interesse dell’attore regista per la genesi di The Room.

Craig è insieme a Tommy una delle figure principali. È la spalla di Tommy. Non solo.
Tutto il loro rapporto diventa la macchina che ha promosso, distrutto, sorretto la pellicola e la loro amicizia.
Tommy arriva ad accusare Craig di ingratitudine. Finché non è proprio Craig che comprende e sostiene l’amico nella svolta di prospettiva. Non ci è mai chiaro fino in fondo e forse nemmeno a Craig, quale sia il confine labile tra il menefreghismo di Tommy, la sua megalomania, l’incapacità di non percepire l’altro e le sue reazioni: l’ingenuità, l’ambizione.

Alla prima del film, la sala si raggela.
Questo perché nessuno tra attori e membri della troupe aveva la benché minima idea del montaggio e del risultato finale. Quello che vedono li lascia esterrefatti. Sensazioni tra la vergogna e l’incredulità: si rendono conto di aver preso parte a un delirio. Sbigottimento, fino a quando non accade l’inatteso: scatta la prima risata. Da lì, una reazione a catena. Wiseau ne sembra molto turbato, ma ecco il colpo di genio. Ribaltare la dichiarazione di intento dell’opera. A fine proiezione, sale sul palco e dice qualcosa tipo: signori, se ridete, se la trovate grottesca, è perché è una commedia grottesca. Sorpresa!
Ma. Era questo il vero intento di Wiseau? Sembra di no, ma così l’han venduta magistralmente poi. Ed è lì che tutto cambia.

*(ndr: la protagonista del film non si è mai più ripresa)

La potenza del passaparola, da flop a cult.

Dopo la prima, si sparge la voce di questa pellicola bizzarra. Si vedono in giro cartelloni pubblicitari di Wiseau che promuove la pellicola e destano parecchia curiosità. In rete si comincia a condividerla, si organizzano proiezioni evento ad hoc che diventano poi esse stesse versioni del film.
La vicenda di Wiseau diventa quella della fenice che dalle ceneri della disfatta ci costruisce mattoni solidi e funzionali. Al grido di “scusate, stavo scherzando, era una burla e voi ci siete cascati”, vediamo la più grande lezione motivazionale e di capacità di ribaltare a proprio vantaggio l’apparente, immanente, sconfitta.

Autoproclamazione vs consacrazione.

Come può un qualcosa di indecifrabile, grottesco e strampalato diventare un successo?

Senza scomodare troppo Umberto Eco, però un pochino sì, ci torna a fagiuolo la sua distinzione tra intentio auctoris, intentio operis e intentio lectoris.
Qui abbiamo l’intenzione del nostro autore empirico Wiseau (film drammatico) che viene totalmente stravolta dalla percezione del lettore (commedia grottesca), a prescindere totalmente dal significato dell’opera (eh chi lo sa).

Ai posteri tutte le considerazioni del caso. Il punto chiaro, a mio avviso, è che non basta il desiderio e la fame di arrivare, non basta tutta la determinazione del mondo né la pecunia. Quello che serve, la svolta, è però una qualità che a Wiseau non manca. Essersi accorto della possibilità di successo abbracciando in pieno l’intentio lectoris e lasciando che questa fosse la nuova direzione. Wiseau decide cioè di usare la beffa a suo vantaggio. Diamo al pubblico quello che desidera vedere. Resilienza o incoscienza?
Andando un pochino oltre e non estremizzando, si possono fare delle considerazioni a latere. Nell’arte, ma non solo, serve qualcuno disposto a percepire, promuovere, diffondere un contenuto e a volte serve che l’autore accetti e abbracci anche qualcosa di diverso. Non a stravolgere come nel caso di The Room o a cedere alla derisione purché se ne parli, questo no, ma alla fine la sua parabola dimostra anche questo. L’importanza di aver dietro o davanti un mecenate, un sostenitore o il pubblico stesso che interpreta e condivide una tua missione o produzione, facendola propria. Questo, non smetto di ripeterlo non è un esempio che mi sentirei mai di consigliare, è un caso alienato di recupero dalle ceneri, dove è il pubblico di nicchia che premia. Tuttavia, al di là delle “qualità”, non ci sarebbe stato un Vincent senza un Theo, un Elvis senza un Sam Phillips, un Tommy senza Craig (e il web), un Disaster Artist senza un James Franco.

Ah. Se volete proprio esagerare, mi sentirei di suggerirvi la visione di The Room in lingua originale in una delle versioni riprese durante una proiezione in sala al grido di “wateeeer”: “se non ti lecchi le dita, godi solo a metà”. Mi ringrazierete o mi toglierete il saluto?

Oh! Hi Mark!

(ndr: vi abbraccio tutti, a distanza e forza forza).

Sara Capoferri

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