Sette mesi e una pandemia dopo la prima data di uscita prevista, e The Future Bites è finalmente nelle nostre mani. Più di mezzo disco è già uscito sotto forma di singolo negli ultimi mesi (ne ho parlato ampiamente) e il mondo intero sembra già avere un parere sul nuovo lavoro di Steven Wilson che spesso si riassume in: si è venduto al pop, si è commercializzato, traditore, lo fa per i soldi, eccetera.
Ora, prima di parlare del valore intrinseco di questo lavoro, voglio provare a smitizzare questa curiosa visione relativa alla svolta sonora di Wilson (che poi svolta non è) cominciando dal titolo di questo articolo.
Non è un disco pop
Senza andare a scomodare musicologi e storici della musica, partiamo dalle parole che Wilson stesso ha ripetuto più volte durante il tour di To The Bone introducendo Permanating “pop non può essere una parolaccia, pop non è Justin Bieber. Pop sono i Beatles, gli Abba, i Police, ed è una musica meravigliosa”. Per quanto io possa contestarlo in parte (definire pop i Police è quantomeno borderline, per i Beatles è invece parzialmente riduttivo), risulta evidente che praticamente nessun pezzo di The Future Bites ricordi i gruppi da lui citati.
Era sicuramente più pop To The Bone. Nonostante la presenza di uno strepitoso pezzo funky/jazz/rock come Detonation e di uno quasi rock inglese come People Who Eat Darkness, il resto del disco si muove su binari decisamente pop. Rievoca Abba, Prince, Beatles, Tears for Fears e tantissime altre icone del genere. E lo fa estremamente bene. Anche Stupid Dream era più pop! The Future Bites invece si appoggia su ben altre basi e il modo migliore per capirlo è ascoltare il suo podcast The Album Years.
The Album Years
Ho già parlato in un paio di occasioni di quella che è stata la miglior produzione targata Wilson/Bowness di tutto il 2020. Un podcast che dedica ogni episodio a un anno nella storia della musica sviscerandolo attraverso gli album più significativi; concentrandosi maggiormente sui lavori meno conosciuti piuttosto che su quelli già noti come pietre miliari. Una meraviglia. Se pensate di sapere qualcosa di musica, vi butterete dal balcone dopo un paio di episodi.
È importante per capire The Future Bites in quanto riusciamo facilmente a individuare cosa affascina Wilson oggi. Lo sentiamo parlare anche di rock e di progressive, ma la sua voce acquista vibrazioni completamente diverse quando il tema ruota attorno alla musica elettronica e a determinati generi che ne fanno ampio uso. In ordine sparso: Boards of Canada, Brian Eno, Massive Attack, Talking Heads, Joy Division, Philip Glass, Cocteau Twins, XTC, Goldie, Radiohead e tantissimi altri. Questi sono gli artisti che lo fanno sognare oggi tanto quanto facevano Robert Fripp e David Gilmour una trentina di anni fa.
La diretta conseguenza di questa infatuazione è appunto The Future Bites, che può essere considerato pop solo in opposizione a progressive, ma che di pop ha davvero poco. Il trip hop la fa da padrone, l’elettronica minimalista, la new wave, il post punk e anche la disco music sono le influenze maggiori che hanno contribuito alla creazione del nuovo lavoro.
Less is more
Altro elemento importante è da ricercarsi nella durata, sia dei pezzi che dell’intero disco. Steven Wilson non è mai stato famoso per la sua capacità di sintesi, anzi molti dei suoi album sin dai tempi dei primi Porcupine Tree soffrono di eccessiva prolissità. The Future Bites è invece il disco più breve della sua carriera.
Anche questo si coglie svariate volte durante The Album Years con frasi del tipo “la maggior parte dei miei album preferiti dura tra i 35 e i 45 minuti”, “la durata perfetta di un disco è 40 minuti”, “ho sempre avuto un problema con la durata dei miei album”. L’idea era già viva in lui nel 2019 durante la lavorazione del meraviglioso album di Tim Bowness Flowers at the Scene. Nelle note di produzione scritte da Bowness si fa proprio menzione del motto “less is more” di Wilson. “Di meno è di più” e non solo parlando di durata, ma anche di pomposità, di assolo, di qualunque cosa. Quel disco di Bowness è splendido anche perché non esiste ridondanza: tutti gli elementi presenti sono assolutamente indispensabili per creare l’effetto desiderato dall’artista.
The Future Bites se possibile estremizza eccessivamente il concetto. L’intro Unself è forse il miglior incipit della sua carriera, ma è davvero fin troppo breve finendo per generare un effetto coito interrotto estremamente frustrante; la versione estesa presente nel Deluxe Boxset trasmette invece quel senso di completezza che sentiamo mancare sull’album. La stessa Self è forse un po’ troppo breve, ma rispetto al demo si perde nella produzione andando a contraddire il suo motto. Di contro Personal Shopper è un pezzo dark synth-pop di quasi dieci minuti che vede Elton John recitare una surreale lista della spesa, ma che non ha nemmeno un secondo di troppo; quindi bene (la versione di quasi 20 minuti presente nel boxset è un’evidente esagerazione del concetto, ma funziona sorprendentemente bene). Lo stesso vale per King Ghost e Eminent Sleaze, decisamente più ficcanti nella loro versione definitiva, piuttosto che in quella estesa.
In generale si coglie un po’ di fretta durante l’ascolto dell’album nel suo complesso; gli manca forse la capacità di soffermarsi su alcuni punti e di confermare adeguatamente alcune posizioni, magari risolvibile arrivando ai 50 minuti grazie a un paio di pezzi in più.
Diciamo che less is more è stato grossomodo seguito, estremizzato in termini di durata e a volte ignorato per quanto riguarda la produzione.
Ma allora, com’è questo disco?
È un buon disco, ma poteva essere molto di più.
Quasi tutti i singoli riescono a funzionare meglio nel contesto dell’album. Sia quelli forti (King Ghost e Personal Shopper), che quelli deboli (Eminent Sleaze) e anche le vie di mezzo (12 Things I Forgot). Anzi, la ballata di chitarra e piano risplende di luce propria piazzata tra un pezzo completamente elettronico e uno curiosamente ritmato, cresce a ogni ascolto. Il testo poi è bellissimo.
Self, Eminent Sleaze e Follower sono quelli ritmati, figli della wave e del post punk, e secondo me non funzionano. Non funzionano presi a sé stanti e forse lo fanno ancora meno accostati alle altre canzoni. Per quanto Eminent Sleaze migliori nel contesto fungendo da interessante stacco, alla fine continua a sembrare un pezzo incompleto e un po’ fuori posto. Follower sembra una canzone dei Joy Division felici (no, non dei New Order) e i Joy Division felici non si possono proprio sentire.
Unself, King Ghost, Man of the People e Count of Unease sono invece il fiore all’occhiello di The Future Bites. Tutto l’amore di Wilson per l’elettronica minimalista, il trip hop e la nuova classica traspare in composizioni cristalline. Il mood è sorprendentemente positivo anche quando il testo risulta essere piuttosto critico. I suoni sono scanditi splendidamente, la sua voce è al massimo storico sia in termini di espressività che di produzione. Non l’ho mai sentito così vicino. La chiusura con Count of Unease rivaleggia con i migliori climax della sua carriera.
Rimangono solamente 12 Things I Forgot, che funge da ottimo interludio acustico chitarristico, e Personal Shopper. Il pezzo dark synth pop potrebbe sembrare un corpo estraneo, ma risulta essere un picco di ritmo e emotività necessario a portare l’album sulle spalle. E non vedo l’ora di sentirla dal vivo, mi aspetto un arrangiamento decisamente heavy, sulla falsariga di Song of I.
Leggendo una descrizione come quella appena fornita lo interpreterei appunto come un buon disco, con qualche pezzo debole e alcuni assolutamente splendidi. E allora perché dico che sarebbe potuto essere molto di più?
B-Sides, Deluxe Boxset, Cassetta, 7’’
L’operazione The Future Bites è stata anche una forte meta-critica. Il concept generale è un’invettiva contro il consumismo sfrenato abbinata a una amara consapevolezza di quanto ci possa far bene comprare l’inutile, e Personal Shopper ne è il manifesto. Per provare bene il suo punto Wilson ha voluto commercializzare l’album in un quantitativo impressionante di versioni, preceduto da un gran numero di singoli fisici. Fortunatamente queste edizioni non sono solamente cosmetiche (perché, diciamolo, i vinili rossi/blu/clear/splatter hanno un po’ rotto le scatole), ma sono ricchissime di contenuti extra.
E i pezzi esclusi sono strepitosi.
Se avesse sostituito le tre canzoni incriminate con perle quali Move Like a Fever (una bomba quasi EBM presente in due versioni diverse sul singolo di 12 Things I Forgot e nel Deluxe Boxset, meglio la seconda), Ha Bloody Ha, Wave The White Flag e Every Kingdom Falls (meraviglie acustiche e elettroniche intimiste dal Deluxe Boxset) e aggiunto anche Anyone But Me (nella cassetta del Deluxe Boxset, che inizialmente doveva chiudere il disco al posto di Count of Unease) e Hey Sleeper (nel 7’’ incluso con il primo pre-order), staremmo parlando di qualcosa di molto diverso. Forse del suo capolavoro assoluto.
Se ancora non vi capacitate di come A Door Marked Summer sia stata esclusa da To The Bone, cadrete dalla sedia ascoltando tutte le esclusioni da The Future Bites. Poi onestamente non avrei saputo cosa togliere dal già lunghino To The Bone, mentre nei 42 minuti di The Future Bites c’è più di una cosa che non va e tantissime gemme sedute ingiustamente in panchina.
Tiriamo le somme
Come avrete visto non ho parlato di svolta, non mi sono messo a piangere per l’assenza di progressive e non ho gridato allo scandalo commerciale. Perché? Perché Steven Wilson è un artista e fa quello che gli pare. Anche aver incluso quei tre pezzi che ritengo non funzionino è una sua prerogativa; e se lo ha fatto, è perché ne era orgoglioso e per lui funzionava meglio così. Io posso solo dire che avrei scelto diversamente.
Questo non è un disco più “commerciale” di altri che ha fatto in passato; se venderà di più sarà semplicemente perché ha finalmente una major che lo promuove benino, perché produce altissima qualità da ormai tre decadi e perché non è mai sceso a compromessi, con nessuno, nemmeno con sé stesso.
Dico semplicemente di ascoltarlo, potrebbe piacervi, come potreste odiarlo; sicuramente vi invito a recuperare tutti i grandi esclusi (in giro si trovano) perché è davvero un peccato che li sentano così in pochi.
Luca Di Maio
[…] la recensione di The Future Bites pubblicata il 2 Febbraio 2021 cliccate qui, per l’analisi dettagliata dei singolo e dell’attività di Steven Wilson nel 2020 […]