Oggi vi parlerò del mio amore viscerale per un gruppo norvegese multi-genere dal nome inizialmente impronunciabile: gli Apoptygma Berzerk.
Siamo alla fine degli anni ‘90 e il mio impero musicale composto da rock, metal e poco altro viene scalfito da un ascolto quasi casuale di 7: il secondo album della band scandinava uscito nel 1996. Mi basta poco: la folgorazione arriva già a partire dal primo sample ricalcante le note del Carmina Burana che apre Love Never Dies; per poi lasciare spazio all’ingresso potente di synth e tastiera mentre un beat elettro anni ‘80 fa da tappeto a tutto. Il cantato mi è inizialmente poco digeribile, quasi stonato, ma terribilmente magnetico. È estasi che si concretizza traccia dopo traccia. Così poco dopo scopro di amare l’EBM, ma soprattutto questa band dal nome senza significato che oggi vi farò conoscere.
Perché multi-genere? Perché non è facile definire gli Apoptygma Berzerk. Sarebbe riduttivo e fuorviante dato che il gruppo ha avuto il pregio di proporre uno stile proprio piuttosto unico, poi continuamente mutato nel tempo, nel bene o nel male. Quindi senza perderci in inutili categorizzazioni che lasciano il tempo che trovano, vi porterò in tour tra i loro album svelando meglio e senza tanti fronzoli chi sono gli APB e perché ritengo che sia fondamentale conoscerli.
Soli Deo Gloria (1993) – Il Debutto
Siamo nel 1993 quando il frontman Stephen Groth e soci irrompono nella scena elettronica scandinava con Soli Deo Gloria. È solo l’inizio di una corrente che porterà una forte innovazione nell’EBM, in particolar modo nel synthpop. Dal loro debutto si carpisce subito quello che vi ho citato sopra: il genere non è facilmente identificabile, la band ha uno stile tutto suo che contrappone la leggerezza synth-pop alla malinconia di stampo gotico tipicamente darkwave; il tutto in un sorprendente equilibrio ragionato. La voce di Stephan è tutt’altro che perfetta, ma è come un abito fatto su misura.
Bitch è la rappresentazione di quello che ho appena scritto, mentre Burnin’ Heretic spicca nell’album come un quadro meraviglioso e rappresenta alla perfezione quello sarà in futuro la band norvegese. L’atmosfera gotica desolante permane tutto l’album e anche durante tracce apparentemente semplici che sembrano uscite dal Sid di un Commodore64 come ARP (808 Edit), rimaniamo tra il piacevolmente coccolati e il disturbati.
Parliamoci chiaro, siamo comunque lontani da un album perfetto. Soli Deo Gloria sembra più una raccolta di ottime idee, non molto collegate tra loro, ma il loro potenziale è ben chiaro fin da subito. Abbiamo quindi un buon debutto che ha gettato le basi per uno sviluppo importante nell’elettronica di nicchia e deve essere assolutamente ascoltato da chi vuole comprendere appieno lo sviluppo degli Apoptygma.
7 (1996) – Il capolavoro
Come un arciere prende la mira con il primo tiro per poi fare centro col secondo, questo è 7. Un album incredibile in grado di catturarti dai primi secondi per poi non lasciarti più; dotato di un fascino ampiamente sopra alla media. In soli tre anni la band dimostra di essere maturata profondamente, mantenendo il proprio stile intatto, ma imparando a sfruttare molto meglio la propria vena creativa assemblando un lavoro completo e ricercato, nettamente più organico di quello precedente.
Come possiamo subito notare nella già citata Love Never Dies, le atmosfere gotiche sono ancora massicce, ma sia le tastiere che la voce di Groth dimostrano più scioltezza e l’armonia che ne esce è più convincente. Il duetto finale con voce femminile è meraviglioso e ipnotico.
Love Never Dies è stato il mio colpo di fulmine, ma è la seguente Mourn a darmi quello di grazia. Sfido tutti a concludere l’ascolto senza che un “Why are you always hiding? Why are you always mourning?” vi rimanga nel cervello per qualche minuto, rispolverando qualche bel ricordo, magari un po’ triste.
Deep Red e Non Stop Violence sono due pezzi clamorosi che incarnano alla perfezione il termine EBM (Elettro Body Music); e cioè di portare il nostro corpo a doversi muovere. Mentre in Electricity si percepiscono delle sonorità più trance e moderne che ritroveremo negli album futuri. C’è poco altro da aggiungere: 7 è un album praticamente perfetto, da gustare lentamente e senza affanno per coglierne al meglio tutte le sfumature.
Welcome To Earth (2000) – L’evoluzione futurepop
La fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000 è un periodo ricco di band che cercano una propria evoluzione, sondando terreni che non sono nel proprio DNA. Gli Apoptygma non sono da meno e con Welcome To Earth fanno una netta virata verso un suono più moderno, accantonando quasi radicalmente le atmosfere gotiche dei primi due album. Proprio grazie a loro (oltre che a VNV Nation e Covenant) nasce il Future-Pop; la corrente EBM più moderna, che abbandona l’elettronica più darwave per far posto a un beat influenzato prepotentemente dalla techno e dalla trance, e questo album ne è il perfetto esempio.
Welcome To Earth è inizialmente spiazzante, ma diventa immediatamente come quella serie su Netflix che ti tiene incollato al divano per sapere cosa succederà dopo. Traccia dopo traccia non sappiamo mai cosa aspettarci, soprattutto dopo aver capito di cosa sono capaci gli APB.
Un vortice di emozioni che parte con la spinta verso l’alto di Starsign, come se fossimo su una rampa di lancio, per poi essere risucchiati verso il basso con l’emotiva Eclipse. Kathy’s Song riprende i soliti beat da coin-op, ma sovrastati da una melodia trance e da suadente voce femminile, il tutto arrotondato da una cullante psichedelia. È tutto perfetto, così perfetto da far entrare un brano di un gruppo di nicchia, spalleggiata da un etichetta tutt’altro che importante, tra le hit di radio scandinave e tedesche.
Da menzionare assolutamente anche la cover di Fade To Black dei Metallica; un lavoro eccellente che mette ancora di più in luce l’abilità del gruppo di far proprie delle canzoni di natura diversa. Potrei andare avanti a citare tutte le tracce, ma mi limiterò dicendo che questo è il capolavoro 2.0 degli Apoptygma Berzerk, e il preludio a quello che sarà il Future Pop; termine che calza a pennello perché si tratta di un album che ancora oggi, a più di 20 anni dalla sua uscita, risulta fresco e attuale.
7 e Welcome to Earth sono sicuramente gli album da cui partire per approcciare il gruppo.
Harmonizer (2002) – Anche la nicchia vuole ballare
Un intro ci dà giusto il tempo di ambientarci prima di essere catapultati dentro alle atmosfere trance di Suffer in Silence. La canzone è destabilizzante: felice e triste allo stesso tempo, marchio di fabbrica ormai ben solido degli APB. Se chiudiamo gli occhi ci ritroviamo sul dancefloor, ed è quasi impossibile non muoversi.
Come in Welcome To Earth, dopo essere stati sparati in alto veniamo immediatamente trascinati a terra dall’ammaliante duetto con Claudia Brucken nella nostalgica Unicorn. In Until The End Of The World torniamo prepotentemente a ballare una melodia gioiosa, ma che di nuovo nasconde una vena triste. Le chitarre si fanno sentire maggiormente, il suono è ancora più pieno, il carisma e la qualità vocale di Stephen Groth è ai massimi storici. O.K. Amp ci immerge invece in un ritmo techno ricordandoci ancora una volta che non possiamo mai sapere cosa ci aspetta nella canzone successiva.
Assieme a Welcome to Earth ed Empires dei VNV Nation, Harmonizer è riuscito nell’impresa di donare nuova linfa vitale a un synthpop un po’ stagnante, segnando l’inizio di quello che conosceremo come Future-Pop.
You And Me Against The World (2006) – La perdita dell’identità?
In This Together è un pezzo che avrebbe potuto essere una hit nelle radio di tutto il mondo; un po’ come fu In The Shadows dei The Rasmus. Provate a dire il contrario.
Purtroppo questa stessa affermazione è croce e delizia di You and Me Against the World. Sì perché se finiamo per paragonare gli Apoptygma ai The Rasmus, c’è davvero qualcosa che non va. L’occhiolino al pop/rock è evidente, il che non è necessariamente un male, ma in questo caso lo è.
Se prendiamo l’album in sé, dimenticando quanto fatto dal gruppo fino a questo momento, You and Me Against The World potrebbe assolutamente avere qualcosa da dire. Il problema è che la svolta Elettro/Alternative/Rock/Pop è stata troppo brusca e ha finito per snaturare il sound del gruppo troppo repentinamente. Aver preferito un cambiamento netto anziché un’evoluzione ha finito per alienare i fan storici senza riuscire a crearne di nuovi. Se l’intento di Groth era quello di cavalcare l’onda 2000 di alternative rock alla Placebo, si è trattato sicuramente di un flop.
Alla fine rimane un buon lavoro dal facile ascolto, un sottofondo non impegnativo; oltre alla già citata In This Together, perfetta da cantare a squarciagola, è degnissima di nota la cover “Cambodia” di Kim Wilde. Ennesima dimostrazione di come gli APB siano dei fuoriclasse nel fare proprio un pezzo scritto da altri; riuscendo a proiettarlo dagli anni ’80 agli anni 2000 senza il minimo sforzo.
Rocket Science (2009) – Parziale rientro in carreggiata
Sono passati quattro anni dal criticatissimo You And Me Against The World, e la maggior parte dei fan era pronta a essere testimone del definitivo crollo del gruppo.
Invece Rocket Science ha qualcosa da raccontare. Sì può dire che i vecchi Apoptygma sono morti e sepolti, ma quelli nuovi, più pop, più indie e più orecchiabili sono finalmente più credibili. Quest’album ricalca il precedente, ma con molta più concretezza e un maggior attaccamento alle radici del gruppo, come sentiamo soprattutto in Shadow. Anche “Weight of the World” è un pezzo molto ben riuscito e “Apollo (Live on Your TV)” è un nuovo apprezzabile tentativo di esser proposti in radio.
Rocket Science rappresenta quindi un parziale rientro in carreggiata nonostante sia un ascolto molto facile e che può tenere compagnia senza grosse pretese. Chiaramente dagli APB ci aspettiamo ben altro, ma stiamo iniziando a vedere riaccendersi una flebile speranza che sotto sotto, qualcosa di meraviglioso e più lontano dal pop ci sia ancora.
Nein Danke (2020) – La lunga attesa, per un EP
Rocket Science è stato poi seguito da una marea di singoli, collaborazioni, remix, inediti e chi più ne ha più ne metta. Tutto di ottima fattura, a ulteriore conferma del talento degli APB in ambito elettronico e che sia ancora più un peccato questa quasi totale conversione al pop/rock.
Nel 2013 con il maxi singolo Major Tom gli APB ci danno un assaggio di quello che volevamo sentire. Di nuovo l’elettronica, di nuovo gli anni ‘80 futurizzati da bit moderni, di nuovo la darkwave gotica che diventa trance. Scende una lacrima. Sembra ufficiale, stanno tornando.
E poi? Di nuovo attesa, sui social gli scandinavi ogni tanto svelano qualche carta, lasciano trapelare qualcosa, ma troppo poco. Si percepisce il peso enorme sulle spalle di una band consapevole di dover recuperare a tutti i costi quello stile che l’aveva resa unica nella prima parte della carriera. Major Tom era stato un assaggio, ma poi più nulla per 7 anni. 7 anni di agonia e fermento.
Finalmente, dopo due uscite di rarità e b-sides più che apprezzabili, nel 2020 esce Nein Danke. Un EP che non è solo un EP.
Otto tracce, tre delle quali inedite. Soma Coma, Atom & Eve e A Battle For The Crow dimostrano finalmente un netto ritorno alle origini. Un acceso elettro-pop molto minimal contrastato da ritrovate vene malinconiche ci riporta in un attimo ai tempi di 7, del quale troviamo infatti una Nearer; ripulita ed evoluta in Nearest. Segue un remix della stupenda Deep Red in chiave lo-fi, non paragonabile alla versione originale, ma decisamente catchy. Il remix di A Battle For The Crown è invece l’ennesima prova di come un brano degli APB possa cambiare di vestito; passando da un elettropop leggero a una deep techno claustrofobica. Infine l’ultimo remix, quello di “Atom & Eve”, è realizzato con un amato (dal sottoscritto e dalla band) C64: un’autentica masturbazione per le mie sinapsi.
L’album si chiude Jennifer Corvino, se il nome vi ricorda qualcuno è perché magari come Groth siete fan di Dario Argento (è il nome del personaggio principale di Phenomena). E infatti il pezzo strumentale è in inconfondibile stile Goblin e ci catapulta in un’atmosfera horror anni ’80.
Ecco perché Nein Danke non è solo un EP, è molto di più. È la conferma di un netto ritorno alle origini, agli amori, allo stile che ha fatto la storia degli Apoptygma Berzerk. Perché se è vero che la svolta pop/rock non è totalmente da buttare, anzi avrei pagato oro per sentire qualche pezzo in high rotation sulle radio, è anche vero che qualcosa era andato perso. Quella creatività sopra le righe, ma soprattutto l’amore. L’amore per il C64, per il cinema e per il gotico che hanno sempre trasudato dalle prime opere della band riuscendo a fare breccia nel cuore e nella mente dei loro fan.
Sperando di aver incuriosito chiunque non conoscesse il gruppo, vi lascio con due cassette create ad hoc per farvi innamorare di loro e unirvi a me nella snervante e dolce attesa del loro prossimo album.
Questa una retrospettiva canonica:
Questa invece è una raccolta di rarità, remix, versioni alternative e altre stramberie da ascoltare dopo aver assorbito il resto:
Fabio Baroncini
Paradossalmente io ho avuto come esca “in this together” e “You and me against the world” ma da lì non li ho più abbandonati. La tua analisi semplicemente perfetta