Il Suicide Metal Finlandese, i Sentenced, Miika Tenkula, l’alcolismo, la depressione, Sami Lopakka, i Charon, gli Entwine, i To/Die/For, ma sì, un po’ anche Ville Valo, Taneli Jarva e Ville Laihiala. Un movimento di cui ho già parlato con il cuore in mano tre lunghissimi anni fa. Un movimento che ha segnato in modo indelebile il mio passaggio dall’adolescenza all’età adulta, e come il mio quello di migliaia di altri metallari alla ricerca della loro identità. Quel movimento che i Sentenced hanno partorito e giustiziato nel giro di dieci anni. Da Nepenthe a End of the Road.
Nei 17 anni che ci separano dall’1 ottobre 2005 e dal quel “Chiudiamo con l’ultimo pezzo scritto dai Sentenced, l’ultimo che mai scriveranno” nessuno ha mai osato varcare quella soglia, nessuno è mai riuscito a riproporre quella combinazione emotiva autodistruttiva con punte di autoironia. I protagonisti degli anni precedenti erano cresciuti orientando altrove i loro tormenti, mentre le nuove leve sono finite per omologarsi al resto del mondo perdendo quel carattere tipicamente finnico che era riuscito a concentrarsi con così tanta forza in quei dieci anni di tristezza.
La diaspora dei membri Sentenced vede nella tragica scomparsa di Miika Tenkula il momento più drammatico. L’autore delle musiche, colui che rappresentava l’anima artistica del gruppo non c’era più, mettendo la parola fine a improbabili velleità di reunion. Vesa Ranta si dedica principalmente alla fotografia, i due Sami si trovano completamente altrove fondando un gruppo che parla di guerra con testi in russo. Rimane Ville Laihiala.
L’uomo che non ti aspetti riporta improvvisamente alla luce del sole il movimento musicale che più ha contribuito a formare la mia anima. Lo fa con Ei meillä ole kuin loisemme, il suo primo disco solista, cantato completamente in finlandese, e indubbiamente la più grande sorpresa di questo 2022. Per capire e processare il disco è però necessario tracciare la strada che ha portato il Ville Laihiala ventitreenne conosciuto su Down, al quasi cinquantenne che ci troviamo di fronte oggi.
Solo una sana e consapevole depressione
Il frontman dei Sentenced compare dal nulla in seguito alla fuoriuscita di Taneli Jarva quando Down era già tutto scritto. Il disco continua la strada indicata proprio dall’ex cantante con Nepenthe, con l’abbandono totale del growl, sostituito da un cantato ruvido che ricorda un James Hetfield alla vodka, e una maggior apertura del suono. Passano a una sorta di tetro heavy metal, spesso considerato gothic solamente per mancanza di una migliore definizione. Sui dischi successivi Ville inizia a scrivere alcuni pezzi, sia testi che musiche, ed evolve notevolmente la sua vocalità. Non è più solo ruvido, soprattutto a partire da The Cold White Light sa anche accarezzare su un registro baritonale pieno. Si completa.
Su Frozen e Crimson i suoi testi non si distanziano troppo da quelli di Lopakka, anche se evidenziano un certo desiderio di vendetta generalmente assente nelle composizioni dal paroliere principale del gruppo. Ma il tema della disperazione da cuore infranto la fa comunque da padrone. “Credo che il mio odio fosse diventato più forte di quanto il mio amore per lei fosse mai stato, ero così stanco di inseguire la persona che mi faceva sentire amato, e mentre eravamo abbracciati, ho tagliato e sparso il sangue più caro […] Avevi promesso finché morte non ci separi, e ora hai reso di pietra il mio cuore!”
Arriva il sesso e rovina tutto
Con Neverlasting comincia a cambiare tutto. Fino a quel momento eravamo al cospetto di un gruppo sostanzialmente asessuato; la depressione era quasi sempre legata alle tipiche delusioni d’amore, ma un amore sostanzialmente platonico. Le donne, e quello che veniva provato per loro, erano una sorta di simulacro. Era quell’amore eterno che molti adolescenti sono convinti esista realmente, e che talvolta li porta a non voler più vivere nel momento in cui il sogno si infrange. Alla soglia dei trent’anni Ville era finalmente diventato grande.
“Non perdiamo tempo a sognare invano, tu e io non siamo fatti per durare” canta in Neverlasting. “Nessun rimpianto, nessun rimorso, per te sono comunque mandato dal cielo […] Tieni quella bocca aperta e prosciugami mia cara” esclama in Drain Me. Nel mezzo il primo album dei Poisonblack Escapexstacy: una sorta di compendio sulla dipendenza dal sesso. È la fine del Suicide Metal.
La transizione dallo spirituale al fisico è quello che lo ha ucciso. Quel genere di depressione è credibile fintanto che tutto rimane un’idealizzazione dell’amore e della conseguente depressione, ma nel momento in cui tutto diventa sporco, concreto, umido, si infrange contro la dura realtà del dover andare avanti con la propria vita. Piangersi addosso non ha più senso, quello era soltanto il grunge, e sappiamo tutti come è finito. Invece Ville dopo il funerale dei Sentenced si impossessa del microfono dei Poisonblack e inizia a parlare di scopare, come una persona normale, adulta.
I Poisonblack con Laihiala alla voce e chitarra sfornano una serie di dischi sostanzialmente indistinguibili, ma con qualche sussulto, in particolare Scars. Sei anni dopo la fine arriva la prima vera resa dei conti con il passato in un pezzo così vero da farmi venire la pelle d’oca ogni volta. Gli anni sono quasi quaranta, i tour non si contano più, il mondo reale esiste, ma è nebuloso, le cicatrici però sono vere.
“Oh questi anni sono stati lunghi, mentre canticchiavo le note della canzone dell’uomo morto. E come vorrei scomparissero, tutte quelle ferite, so che è troppo tardi. Le cicatrici sono lì per ricordare”
Un paio di anni dopo arriva infatti la fine anche per i Poisonblack. La resa dei conti anticipata da Scars non lascia scampo e nemmeno il sesso è abbastanza; bisogna alzare ulteriormente l’asticella per generare quel minimo di adrenalina in grado di competere con le cicatrici del passato.
Dopo il sesso solo la violenza
Così Ville forma gli S-Tool buttandosi in quello che è sostanzialmente un thrash metal alla Metallica, boombastico come un Black Album aggiornato agli anni duemila, ma decisamente ottantiano nel riffing. Onestamente dimenticabile. Liricamente si parla di vita, violenza, rabbia. È la sublimazione di quello che erano i Poisonblack e lo sfogo violento definitivo per il cantante/chitarrista. Si esauriscono infatti in due album su quattro anni senza mai uscire dalla Finlandia (a parte quattro date in Giappone).
Tornare indietro per andare avanti
Depressione, suicidio, alcolismo, cuori infranti, donne oggetto, sesso, dipendenza, disillusione, rabbia, violenza, esplosione. Un uomo. Con tutte le sue idiosincrasie, i suoi difetti, le sue colpe, i suoi rimorsi e i suoi rimpianti. Questo bagaglio enorme può essere un fardello in grado di trascinarti nell’abisso, ma la funzione salvifica dell’arte riesce spesso a estendersi anche all’artista stesso. E infatti arriva Ei meillä ole kuin loisemme.
Il suo primo disco solista non è un ritorno al passato, non è un carrozzone nostalgico, né liricamente, né musicalmente. È la resa dei conti definitiva, sia lirica, che musicale. È Scars al cubo post-S-Tool.
“Piangi se puoi, piangi, non lamentarti. Non ho nient’altro che i miei parassiti, il mio altro oscuro. Non pregherò per la felicità, non ho nient’altro che i miei parassiti, il mio altro stanco, non implorerò, non pregherò.”
È un uomo che si fa carico di tutti i suoi fardelli e li butta fuori nella sua lingua madre, senza filtro, senza nemmeno la velleità di essere capito. Lo sta facendo solo per sé stesso, ed è proprio per questo che funziona come mai aveva funzionato prima.
Musicalmente alterna pezzi veloci a metà tra quelli dei Sentenced (Kiinni juuriin maan) e gli ultimi Poisonblack (ma con la carogna degli S-Tool), ad altri più vari e meditati. La titletrack è sostanzialmente una composizione neoclassica nel suo incidere di piano, archi e percussioni, con la voce rotta di Ville a prendere atto di quanto citato poco sopra. Erhe e la conclusiva Vainoharhapaatos si muovono su territori più doom; Erhe in particolare è strutturalmente contorta ed emozionante, la mia preferita insieme alla titletrack.
Nonostante sia uscito solamente da un paio di settimane, l’ho già consumato e ho il bel LP nero nella mia piccola collezione. Ogni ascolto mi regala emozioni nuove, difficile dire quanto sia hauntologico e quanto dovuto alle qualità più intrinseche al disco. Ma non è poi sempre così?
Luca “Sentenced” Di Maio
Una versione terrificante di me stesso assieme a Ville nel lontano 2002, al Vidia di Cesena
(in questo momento sento un irrefrenabile bisogno di cantare Scars)
C’ero anchio al vidia di Cesena, in quel lontanissimo 2002, feci due chiacchere con Ville al tavolino del bar , era molto disponibile. Quanto mancano i Sentenced…
Madonna se mancano. E che incazzatura quel giorno quando scoprimmo che non avrebbero suonato da headliner…
Io con Ville scattai solo la foto e poco più, invece Sami K. si fermò fuori con noi a chiacchierare, eravamo arrivati prestissimo, e ci fece un sacco ridere. Che tempi!