Dopo qualche settimana di incertezza è arrivata: A proposito di niente, Apropos of Nothing, l’autobiografia di Woody Allen. Incertezza dovuta al gran rifiuto da parte della casa editrice Hachette pochissimi giorni dopo averne annunciato la pubblicazione, alle sorelle in Europa che invece l’avevano confermata, e all’uscita a sorpresa su Arcade Publishing il 23 Marzo. Due settimane prima rispetto a quando inizialmente programmato su Hachette.

Ho già avuto modo di raccontare da dove derivi il gran polverone che si è sollevato; sarò riuscito ad allargare le vedute di qualcuno? A instillare il dubbio nella mente di qualche grande inquisitore? Io forse no, ma Allen certamente sì.

Larry David, protagonista di Basta che funzioni nonché ingombrantissimo personaggio della televisione americana, ha detto “dopo aver letto la sua autobiografia, mi riesce difficile pensare che Woody Allen abbia fatto qualcosa di sbagliato”. Ed è proprio così.

Al di là delle accuse per molestie, alle quali Woody dedica un po’ troppo spazio (ma come biasimarlo), A proposito di niente è un meraviglioso testamento di vita di un genio del cinema che non crede di esserlo. Ogni singola riga del libro sembra una battuta di uno dei suoi tanti alter ego. Leggendolo in lingua originale è impossibile non sentirlo dall’inizio alla fine con la sua voce, con le sue inflessioni, con le sue pause. Anche i momenti più drammatici sono costellati da quell’ironia che ha sempre contraddistinto tutti i suoi personaggi.

“È semplicemente un libro fantastico” (cito ancora Larry David, ma anche me stesso). Nonostante avessi già letto un paio di sue biografie e non ci abbia trovato chissà quali rivelazioni, è stata comunque una lettura spettacolare. Raramente mi sono trovato di fronte ad autobiografie così coinvolgenti, forse giusto quella di Ozzy Osbourne. Se poi penso a chi si è sempre limitato ai suoi film senza mai andare ad approfondire con altre letture,… beh, questi fortunati si troveranno di fronte a parecchie sorprese.

Il Woody Allen che si racconta è paurosamente molto simile a Alvy Singer, Isaac Davis e Danny Rose; completamente diverso da quello che si legge nelle testimonianze esterne. Per i suoi collaboratori Woody Allen è sicuro di sé, non parla con nessuno, sa esattamente quello che vuole e può sembrare addirittura spocchioso. Invece il suo mondo interiore è quello dell’eterno insoddisfatto, dell’enorme complesso di inferiorità dei confronti di qualsiasi grande regista e della soggezione verso ogni donna con la quale abbia mai incrociato lo sguardo.

Non capisce perché Fellini lo avesse voluto conoscere, non si capacita che il suo cinema sia insegnato all’università e il suo più grande rimpianto è “aver avuto a disposizione milioni di dollari, totale controllo artistico, e non aver mai fatto un grande film”. Questo giusto per dare la dimensione dell’uomo, della sua condizione mentale e del suo approccio nei confronti del mondo.

Il racconto della sua storia famigliare e della sua infanzia è esilarante. Lo scopriamo essere addirittura un grandissimo sportivo che sognava una carriera nel baseball. Ancora una volta i suoi personaggi ci ingannano trasferendoci un’immagine dell’autore come grande intellettuale completamente fuorviante. Allen è infatti molto fermo nel definirsi l’opposto di un intellettuale. Non è laureato, ha sempre avuto voti pessimi a scuola mentre si interessava solamente di prestidigitazione, baseball e fumetti. Ha iniziato a leggere i grandi classici solo per far colpo sul tipo di ragazza che lo interessava di più. Non ha mai studiato cinema, non ha mai studiato scrittura, la sua carriera è cominciata per caso inviando delle battute ai giornali di New York. E da lì è decollata.

Racconta delle sue mogli e delle sue storie, coglie l’occasione per scusarsi con questa e quest’altra compagna per vecchi misfatti, ma non lesina la rimozione di qualche fastidioso sassolino rimasto nelle scarpe per alcuni decenni. Il migliore se lo toglie verso la fine riguardo Timothée Chalamet. Al risorgere dello scandalo nel 2018, il protagonista di Un giorno di pioggia a New York si era subito distanziato da Allen affermando di essersi pentito di aver accettato il ruolo e donando il suo cachet in beneficenza. Woody ci dice che il buon Timothée avrebbe chiamato la sorella e produttrice del regista scusandosi per le dichiarazioni, ma che è stato quasi obbligato dal suo agente in modo da aumentare le sue possibilità di vincere l’Oscar per Chiamami col tuo nome. La sua parola e basta ovviamente, ma più che un sasso, si è tolto un macigno e l’ha rilanciato indietro.

Purtroppo non dice tantissimo riguardo il suo cinema, ma è totalmente parte del suo modo di essere. Molti dei suoi film universalmente osannati come capolavori non lo entusiasmano particolarmente, altri meno considerati rappresentano invece i suoi ricordi migliori. Ed è proprio questo il punto. Woody Allen non si ferma mai, non riguarda i suoi film, non ci pensa più non appena il lavoro è terminato. Non gli interessa quanta gente lo vedrà o quanti soldi farà. Il godimento per lui è il lavoro stesso e il successo del film ha l’unica funzione di permettergli di lavorare come e quando vuole. Se non potesse più fare film, lavorerebbe nel teatro, se non potesse lavorare nel teatro, scriverebbe dei libri, non si fermerà mai. Morirà con la penna in mano, sul set o in sala di montaggio. Non vorrebbe nient’altro, a parte non morire mai.

Leggere un’autobiografia così schietta, sincera, diretta e molto poco intellettuale riesce a mettere in prospettiva tutti i castelli che noi critici riusciamo sempre inevitabilmente a costruire riguardo un corpo di opere. È meraviglioso spremersi le meningi per provare a individuare il vero significato dell’opera (impossibile), o quantomeno l’intento dell’autore (spesso difficile), scomodando tutti i filosofi che ci vengono in mente, la psicologia, la metalinguistica e chissà quali altre discipline. Tuttavia è bene essere sempre consapevoli che si tratta di uno splendido esercizio di onanismo intellettuale fine a sé stesso. Se siamo bravi e fortunati, l’esercizio darà piacere a noi e ai nostri lettori, ma non riuscirà praticamente mai nell’impresa. E Woody Allen lo certifica mostrandoci che molti dei suoi film sono il risultato del caso e che nessuna delle riflessioni formulate a loro riguardo ha mai sfiorato la sua mente.

Ripeto, è semplicemente un libro fantastico. Non è la sua biografia più completa; per maggiori approfondimenti suggerisco Woody Allen: A Biography di Eric Lax seguito da Coversations with Woody Allen (Conversazioni su di me e tutto il resto) sempre di Lax. Ma è sicuramente la più interessante. È quella da cui partirei per conoscere veramente l’uomo dietro le opere, è quella più divertente e anche più emozionante. Non vedo l’ora che esca l’audiolibro letto da Allen stesso: sarà come ascoltare dieci ore di suo spettacolo di cabaret. Non male.

Lo ha detto più volte e lo ripete in chiusura “piuttosto che vivere nel cuore e nella mente delle persone, preferisco continuare a vivere nel mio appartamento”. Ancora una volta il suo desiderio non potrà essere esaudito. Perché nonostante quello che vorrebbero alcuni, Woody Allen vivrà molto più a lungo di me e voi proprio grazie a tutti i suoi grandissimi film, ma la sua mente morirà senza essersi mai resa conto della loro effettiva grandezza.

Luca Di Maio

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